Parlavo con MangiaMerda qui che, se tutto va bene, mi seppellirà e dice che non importa quanto siano vasti i confini o quanto sia full optional il tuo recinto, il punto è che se hai la possibilità di vedere oltre, grande e sconfinata sarà la tua voglia di evadere.
Che detta così sembra una roba saggia. Dopotutto MangiaMerda ha un’aspettativa di vita di almeno 70-80 anni – senza l’ausilio di farmaci e sistema previdenziale – fortuna che Madre Natura riserva a chi ne è degno e ha qualcosa da insegnare ad altri, presumo. Il problema è che questo altissimo concetto si traduce in tartarughe che si incastrano di traverso nei pertugi e si ribaltano in pose per nulla savie ed io che muoio di ansia e vado ogni 32 secondi ad accettarmi che non stiano lì a zampe all’aria.
P.S. Ho provveduto in ogni caso a oscurare l’orizzonte e il desiderio dell’oltre. Che stronza.
È stato un weekend di lavori dimmerda. Di cose che abbiamo rimandato per troppo tempo ma stavano rendendo il giardino una giungla. Il Glicine con i suoi tentacoli filiformi stava chiudendo definitivamente il passaggio verso il giardino. Un meraviglioso ed enorme muro di foglie verdi come i bruchi con questi micro-tentacoli in esplorazione. Per passare oltre dovevamo camminare sul prato che, con le piogge e il nostro fare avanti e indietro, ha un aspetto veramente fetido.
Il tempo ci ha concesso due belle giornate calde e ne abbiamo approfittato per ripristinare il passaggio e limitare la crescita del Glicine. Spero non vada a compromettere la nuova fioritura di fine estate.
Siamo arrivati qui alla Cascinazza che tutto era a riposo, ma i lavori in casa e il trasloco ci hanno impedito di mettere mano al giardino e alle potature quando eravamo in tempo per farlo e ora facciamo i conti con una giungla di rami, foglie e giovani gettate che sembrano diti medi alzati verso gli sbirri quando non ti vedono. In questo caso, però, i diti medi e tutti questi vaffanculo della natura rigogliosa che se ne sbatte del mio “vialetto piastrellato” o del fatto che mi faccio la doccia ogni volta che passo sotto il melograno, pregno di pioggia, per dare da mangiare alle bestie, sono ben visibili e decisamente strafottenti. Diti medi lunghissimi. E in questo caso gli sbirri siamo noi con le nostre cesoie e il tosasiepi.
Ranzato via il Glicine, tutto il nostro nazismo si è riversato sul Melograno reo di:
Impormi docce non richieste, in questa stagione dei monsoni, ogni qual volta scendevo i gradini in pietra che portano al pollaio.
Avermi strappato ciuffi e ciuffi dei miei capelli, messi già a dura prova dall’ autolesionismo tipico di chi persevera a decolorarsi i capelli da sola, intanto che quel pollaio veniva assemblato, proprio lì, sotto il melograno spoglio, ma carico di frutti mai raccolti e lasciati marcire, e… spine. Porca merda, sì… il melograno ha degli spuntoni che ricordano gli spike sui bracciali degli Immortal. Giuro.
Ora i frutti marci non ci sono più e, al loro posto, ci sono millemila foglioline di un verde intenso e lucido. E ci sono i boccioli di quel color corallo tipico del design modernista degli anni sessanta. La mia prima televisione era di quel colore. Una scatola arancione corallo in bianco e nero con le antenne di insetto regolabili in altezza e direzione alla vana ricerca di un Italia 1 che tanto, quando si era fortunate a intercettare la frequenza, era come guardare Occhi di gatto dall’obló di un frullatore intanto che qualcuno suona una cover di un pezzo dei Disclose con le maracas.
Uno spreco di tempo senza dubbio. Così come è uno spreco vedere tutti questi boccioli di melograno per terra vittime del nostro bisogno borghese di accedere al giardino.
Nello schiudersi dei fiori c’è sempre qualcosa di erotico.
Nello schiudersi dei fiori c’è sempre qualcosa di erotico. Quel contrasto tra turgidità e morbidezze. Quei petali tutti stropicciati a nascondere e svelare lentissimamente, ciò che c’è di più prezioso. Non mi sorprende affatto che si usino spesso delle metafore legate alla botanica per descrivere le robe zozzette. A parte “scopare” dalla misteriosa origine etimologica. Non mi ricordo quando o con chi ma, soprattutto dopo quante birrette, ricordo chiaramente di aver fatto diverse congetture circa la connessione tra l’atto di ramazzare con una scopa e quell’hobby che si pratica senza vestiti o con quei vestiti con cui mica ci vai a lavoro. A meno che il tuo lavoro non sia quella cosa lì e allora non si tratta più di un hobby ma di una professione e… stavo parlando dei fiori del melograno e delle sue spine e del fatto che nello schiudersi di quel fiore vedo la celebrazione della sensualità o forse sono io che sono in ovulazione e in balia dei miei ormoni.
In ogni caso oltre al Glicine lovecraftiano e il melograno tintobrassiano, abbiamo dovuto far del male pure al kiwi. E qui la cosa è tragica e avremo sensi di colpa per i prossimi secoli. Probabilmente verrà fondata una religione a causa dell’orrore di cui ci siamo macchiati la coscienza. Da qualche parte, tra qualche secolo, qualche guru misogino e armato fino ai denti si barricherà con la propria setta pronto a sacrificare tutti e tutte (eccetto se stesso) in nome del loro credo nato per lo strazio conseguente della strage di kiwi bambini perpetrata nel 2023 da un uomo soprannominato Satana e della sua complice e amante che gli reggeva la scala (sotto una cascata di rami, foglie e i KIWI APPENA NATI). Santo Kiwi! Kiwi appena nati che ora giacciono per terra senza più un futuro se non quello di marcire. Giù le mani dai Kiwi Bambini.
Ma, santo Kiwi, la crescita incontrollata delle 76 piante di kiwi tutte ammucchiate e aggrovigliate tra loro stava sconfinando sull’orto mettendo in ombra i pomodori. E non si fa, ok? Nessuno mette in ombra i pomodori.
Cose che ho imparato potando un kiwi in fiore:
Come è noto, i giovani fanno casino perché non hanno il senso del proprio ingombro. Ne ho parlato pure qui. Fatto sta che tra polloni e succhioni (oh, si chiamano così) aggrovigliati tra loro, non solo i pomodori e una parte dell’orto erano in ombra, ma lo stesso kiwi si stava facendo ombra da solo rendendo sterili i rami più in basso e più anziani e facendo crescere i frutti là dove nessuno potrà mai raccoglierli. I succhioni, poi, sono infingardi perché lì vedi così mingherlini eppure sanno essere molto molto molto lunghi e perno di intricate vicende come teenager nichilisti in un’epoca lontana e utopica in cui sono i giovani a inibire i vecchi e non il contrario, decretando la morte culturale del Paese e il caro-affitti. Il senso è che i kiwi vanno potati circa tre volte l’anno in momenti diversi. Tipo. Che palle.
I Kiwi appena nati sono teneri come le balle dei gattini. Tondi e fatti di peluche.
Direi che è facile coltivare pomodori se sei #femminista e ci metto il diesis davanti (come dice Satana) perché il femminismo è una roba, e poi c’è il #femminismo e quel cancelletto sta ad indicare la differenza tra prendere posizione e mettersi in posa, tipico di quel femminismo bianco, pseudo-istruito (celo, celo) e benestante (manca).
Insomma, ho due spunte su tre per essere #femminista, ma l’essere nata in una famiglia normale e non aver mai fatto la scalata sociale, mi rende soltanto femminista e non #femminista e chiedo scusa per questo, ma in compenso coltivo pomodori e questo mi viene più facile grazie agli hashtag delle campagne più in auge del #femminismo bianco e borghese.
Indi per cui se siete qui perché volete comprendere qualcosa sul #femminismo o sulla coltivazione dei pomodori siete nel posto sbagliato. Perché faccio cacare in entrambi i campi, ma siamo qui per imparare neh?
#freethenipple
E niente… potrei agganciarmi al marciume apicale o “culo nero” cioè quella patologia in cui la parte inferiore e puntuta del pomodoro diventa piatta e marcescente. Il marciume apicale del pomodoro è dovuto alla carenza di calcio e risolvibile buttando gusci d’uova triturati o con un concime specifico come questo. Ma la verità è che nel video non ho il reggiseno e quindi va bene così.
Nel video non sono manco truccata. E quindi mi gioco anche #nomakeup #natural #justme
#nowax #hairygirls #noshavenoshame
La sfemminellatura dei pomodori consiste nell’imporre dei canoni estetici alle piante di pomodoro. Si tratta in poche parole di dover staccare i peli (i butti, le gettate, i germogli, le foglioline) che crescono nei bivi tra due rami che, nel gergo tennico, si chiamano ascelle.
Un sinonimo di sfemminellatura e scacchiatura. Un altro ancora è castratura. Insomma, potete decidere se chiamarli butti, bastardi, femminelle o cacchi – sì, esattamente come quel “che cacchio vuoi” – poiché apprendo solo ora che:
Cacchio /càc·chio/
sostantivo maschile
1. Getto infruttifero di una pianta coltivata.
Ma ne converrete che non può essere una cosa bella se la si chiama così. Eppure dobbiamo cercare di fare uno sforzo semantico e accettare che staccare i butti alle piante di pomodoro è utile perché:
Eliminare i rami non produttivi per far concentrare le risorse sui rami dotati di fiori/frutti
Far ossigenare la pianta e ridurre la diffusione di contaminazioni di schifi conseguenti agli assembramenti di foglie umidicce e malaticce.
Far passare i raggi del sole nel momento in cui dovranno maturare i pomodori fino agli sgoccioli della stagione pomodorifera.
Agevolare la raccolta. Sia per quanto riguarda l’aspetto quantitativo che quello degli sbatty: le piante di pomodoro sanno essere un tale casino di grovigli e caos che nasconde preziosi pomodori negli anfratti, popolati da ragni e cimici in agguato pronti ad infilarsi nei capelli e nel decolté.
#BraFree #NoBra
La legatura dei pomodori consiste nel fare ciò che il patriarcato e la moda fanno alle donne da secoli e secoli e secoli. Che siano bustini in stecche di balena che ti shakerano gli organi interni, che siano piedi fasciati, che siano tacchi; la più grande forma di violenza – persino più della fasciatura dei piedi delle bimbe nella lontana Cina – che si possa imporre a quella cosa brutta che sono i piedi, che sono brutti, ok, ma davvero dobbiamo infilarli in quei cosi scomodi, che sono i tacchi, quando nel mondo esistono gli anfibi e le ciabatte? I pomodori vanno legati per evitare che si sviluppino in orizzontale raso terra come tette – se ce le hai – che seguono le leggi della natura e guardano in giù assecondando la gravità, perché:
Se i pomodori si sviluppano in orizzontale vanno ad invadere tutto l’orto autoriproducendosi per propaggine in un caos indistricabile in cui poi diventa pure difficile l’operazione di pulizia del terreno.
I pomodori che crescono raso terra sono più suscettibili (come Napoleone e Silvio) agli schifi che salgono dal terreno come malattie e lumache.
L’eccessiva prolificità tipica della pianta di pomodoro potrebbe portare a rami dal carico eccessivo di foglie e frutti e alla conseguente rottura dovuta dal peso.
Il mio consiglio, frutto di errori pregressi, è quello di usare dei laccetti elastici e di non stringere troppo. Consiglio inoltre di ripetere l’operazione ciclicamente via via che la pianta cresce.
E con questo ho finito di scrivere tutto quello che ho scoperto sulla coltivazione dei pomodori.
CONOSCIAMO LE BESTIE DELLA CASCINAZZA E SCOPRIAMO INSIEME PERCHÉ SONO UTILI E IMPORTANTI ANCHE SE NON ABBIAMO INTENZIONE DI UCCIDERLE E MANGIARCELE.
Perché hai dei conigli se non te li mangi? Vi chiederete voi. Perché sono simpatici? No. Perché ti danno soddisfazione? No… avere dei conigli vuol dire soffrire. Perché sono animali fragili, dal carattere pungente che ti spezzeranno il cuore e svuoteranno le tue tasche. E no, non mi basta sapere di averli salvati per sentirmi una persona migliore. Io PRETENDO un return of investement.
Per i niglietti, così come in buona parte delle mie relazioni eterosessuali, questo “ritorno” non è praticamente mai affettivo. E quindi? Al di là del lato infermieristico salvifico di sentirsi importanti perché hai salvato quelle bestie da un destino di morte e torture, perché perseverare a prendere in affido/adozione dei conigli?
PER LA CACCA
OrtoPunx è quella cosa per cui sai che almeno una volta alla settimana dovrai tirare su molta cacca dalla conigliera e dal pollaio. Moltissima cacca. Tenete da conto che un coniglio fa in media 300 palline di cacca al giorno. Moltiplicato per due conigli XXXXXL, fa una marea di cacca.
La cacca delle bestie, in un contesto ortopunx, è preziosa come la birra fredda ad una taz a Milano a luglio. Come le cuffiette quando sei sui mezzi pubblici. Come le magliette del merch quando sei in tour e non hai più niente di pulito da metterti. La cacca delle bestie è il nutrimento della terra in cui noi andremo a coltivare le nostre verdurine, i cui scarti andranno ad alimentare i nostri conigli e le nostre galline, che andranno a defecare e produrre altra cacca che andrà a concimare la terra che.. ecc. ecc. ABBIAMO CAPITO.
I BISOGNI DELLA TERRA E I BISOGNINI DELLE BESTIE
Funziona così. Tipo che la terra, affinché sia fertile, ha bisogno di determinate cose minerali che si distinguono in macro-elementi primari (azoto, potassio e fosforo) e macro-elementi secondari (calcio, zolfo e magnesio). Sì, come i beveroni di potassio e magnesio che trangugiamo quando rifuggiamo la società e andiamo a camminare per i boschi, anche la terra ha bisogno dei suoi beveroni per starci dentro e poter fare quelle cose che fa la terra, ovvero sopportarci ed essere ospitale per le radici delle nostre piantine da orto (e non solo). Un po’ come quando bevi un Negroni prima di andare a pranzo dai tuoi genitori per starci dentro.
Azoto, Potassio e Fosforo sono molto importanti e devono essere equilibrati perché l’azoto si prende cura delle foglie e della crescita della parte verde delle piante. Poco azoto (N) non farà crescere la pianta, ma troppo Azoto sarà come il capitalismo e lo sviluppo senza progresso di cui parlava Pasolini. Troppe foglie richiedono troppo nutrimento a scapito delle radici e dei frutti. Si tratta di una becera ed esagerata manifestazione di rigogliosità tossica non richiesta.
Il Fosforo (P) fa bene un po’ a tutto. Alle radici, certo, ma soprattutto ai fiori e ai frutti. Il terreno ne è pieno, ma non è assimilabile dalle piante e indi per cui è necessario reintegrarlo. Ed è un po’ come il concetto fascio-yuppistico di “merito”, là dove il Fosforo è paragonabile all’avere talento e cultura ma essere poveri e quindi non poter mettere a frutto quel talento; al contrario di chi, grazie a quella tipica determinazione (concimazione) che solo i figli dei ricchi hanno, è possibile fiorire, fruttificare e spargere il proprio seme nel mondo del lavoro, dello spettacolo, della cultura. Nel mondo. Ecco.
E poi c’è il Potassio (K) che serve per far crescere le parti rigide e legnose delle piante, ma anche nello sviluppo di bulbi e tuberi. Il Potassio rappresenta, in un certo senso, la struttura, l’anima (quella di fil di ferro nei pupazzetti di plastilina, non l’anima cristiana) della pianta. Ed è paragonabile alla FAMIGLIA TRADIZIONALE. Senza la FAMIGLIA TRADIZIONALE questa società sarà privata dalla sua struttura intrinseca e le macchine esploderanno, i semafori saranno sempre rossi, sporcheremo sempre il fornello quando facciamo il caffè e ci faremo la pipì addosso ogni volta che starnutiremo per colpa della schwa.
ANCORA CACCA
Ma per fortuna c’è la cacca dei nigli e delle lline, che darà tutto quello che serve alla terra e di conseguenza ai cetrioli. Come?
La cacca di coniglio può essere messa direttamente nel terreno. Che tanto è già “pellettata” naturalmente. Al limite potete anche scioglierla nell’acqua e usarla come concime liquido.
La cacca delle lline – che è una caccapipì, perché fanno tutto assieme – invece va compostata. Ovvero buttata nel compost alternando una parte cacchifera ad una parte vegetale (se usate paglia/fieno nei nidi o nei posatoi va bene già così), lasciata maturare per almeno sei mesi e poi mescolata nel terreno.
Partiamo dal presupposto che vogliamo piantare i nostri pomodori in quella cosa che un tempo era una montagna. E già questa cosa mi fa impressione perché è come immaginarsi di usare il Sacro Graal per bere la Finkbrau. O il cranio di un re (non sono macabra per vezzo, ma per coerenza e poi ve lo spiego quando parlerò di orto biodinamico) come svuota tasche. O forse no… O forse la vedo così perché sono una butta persona e forse le lezioni di yoga online non sono abbastanza per leggere la vita come qualcosa di armonico e giusto e con un senso. Perché in effetti, dalla decadenza di maestose montagne noi otteniamo la parte inorganica e minerale della terra in cui andremo a coltivare pomodori e zucchini e melanzane per cucinare malissimo ciò che è necessario assimilare oltre alla birra e al prosecco e alle patatine nel sacchetto per poter vivere. E quindi, sì, sono montagne decadute, come le GRANDI FABBRICHE del boom economico in cui adesso si fanno i rave o esposizioni di arte concettuale, casate nobiliari in rovina che devono affittare le proprie magioni per matrimoni cafoni ma – in fin dei conti – sono montagne che hanno saputo reinventarsi e convertire il loro business e infatti adesso io e Satana ci piantiamo il basilico per il pesto.
LA PARTE ORGANICA: DECOMPOSIZIONE
In ogni caso dalle montagne sbriciolate noi otteniamo la parte inorganica o minerale della terra che però è sterile. Perché per generare la vita mica ci bastano le montagne sbriciolate, noi abbiamo bisogno anche della decomposizione di tutti quegli animali che ci sono morti e di tutte le foglie che sono cadute e sono marcite e non dimentichiamo la merda (protagonista assoluta della vita OrtoPunx, qui, nella Cascinazza… parlerò spessissimo di merda) e i funghi e i batteri che con il loro indefesso e chirurgico lavorìo , trasformano le carcasse in humus e terra fertile.
Noi coltiviamo il basilico in montagne sbriciolate, carcasse decomposte e foglie marcite.
LA STRUTTURA DELLA TERRA: CARCASS FEATURING SIOUXSIE
Ed in base alla roccia madre o a chi ci è morto e si è decomposto o agli alberi che nei secoli dei secoli hanno lasciato cadere foglie o sono caduti essi stessi che viene determinata la tipologia di terreno in cui noi andremo a (cercare di) coltivare i nostri borlotti. Sia dal punto di vista chimico di macro e microlelementi che dal punto di vista della “tessitura” che – guarda caso – viene determinate dall’equilibrio degli elementi che costituiscono il terreno, distinti in scheletro (è tutto così dark-wave-gore-punk che mi fa pensare ad un featuring di Siouxsie in un pezzo dei Carcass) e terra fine.
Direi che non c’è tanto da spiegare. Lo scheletro è costituito dai pezzetti più grossi tipo ghiaia e sassettini. Per terra fine si intente tutto quello che ha un diametro inferiore ai 2 mm tipo sabbia, limo e argilla. In cui la sabbia è la più spessa – anche se ero pronta a giurare il contrario e mi sarei giocata qualche millemila euro al triello dell’Eredità al cospetto del compagno Insinna – mentre l’argilla è la grana più fine.
PIANTARE ZUCCHE DI HALLOWEEN SU ARRAKIS NON È UNA BUONA IDEA
Perché è importante capire se il terreno in cui andremo a fare l’orto è di grana grossa (sabbioso) o di grana fine (argilloso) o mezz-mezz (limoso)? Perché nella sabbia ci fai poco un casso. Un terreno sabbioso va bagnato moltissimo e concimato ancora di più. Ha bisogno di moltissima manutenzione e chi c’ha voglia, dai. Direi che siamo già bravi e fare quello che facciamo perché dobbiamo andare a complicarci la vita e cercare di far crescere le zucche di halowì su Arrakis, no? Il terreno argilloso invece trattiene l’umidità, va bagnato poco e ci mette tanto ad asciugare e, per questo, bisogna prestare tanta attenzione a muffe e muffette e funghetti e a tutti quegli alfieri della marcescienza che prolificano lì dove gli altri hanno schifo di stare.
Ci son diversi modi per capire che tipo di terreno è quello che hai a disposizione. Controllo visivo: Scava per due spanne circa e dimmi di che colore è. Facciamo tipo il test di Cioè per capire se lui ti ama o come un test di Vanity Fair per capire perché lui non ti tromba più o ti tradisce.
L’hummus deriva dai ceci schiacciati e non dalle montagne sbriciolate. La consistenza dell’hummus in bocca ricorda effettivamente quello di un terreno con un’equilibrata percentuale di sabbia e argilla, ma non il colore che, nel caso dell’hummus deve essere beigiolino e, nel caso dell’humus con una emme, deve essere marrò-nero. Potete portare entrambi ad una grigliata perché tanto nessuno se li cagherà entrambi dal momento in cui i pochi vegani / vegetariani (sopravvissuti al greenwashing della granarolo & co e all’assorbimento da parte del mainstream delle tematiche animaliste e ambientali) si saranno portati il loro hummus perché sì, ok, ma non si può vivere di sola birra e patatine nel sacchetto. Mi dicono. Anche se io continuo a pensarla diversamente. Ecco. Però coltivare luppolo e patate mi sembra troppo complicato. Al momento.
Ci sarebbe anche il test tattile. Tipo che devi prendere un cicinin di terra e giocarci e farci delle pallette e poi un cilindretto e in base alla malleabilità/friabilità capirne la consistenza. Ma non siamo qui a fare troppi assoli col wah-wah e andiamo a piantare queste cazzo di piantine dell’orto.
Le istruzioni… minuziose e composte interamente da disegnini carini. Presumo che quelli di Omlet abbiano deciso di esprimersi attraverso i disegni, per non correre il rischio di usare lingue non-francesi e quindi inferiori. Dalla patria del computer che si chiama ordinatuer e tante altre autarchie tipiche della grandeur linguistica, e non solo, dei francesi, arriva questo pollaio facile da montare e piuttosto costoso ma che sogno da una vita per diverse motivazioni.
Partiamo però dall’assemblaggio che è veramente semplice e sembra di montare una sorpresa dell’ovetto kinder ma gigante. E tutto torna dal momento in cui ogni mattina troverò dentro delle ova calde di culo di gallina. Una metafora della vita per cui quando sei teenager credi che si debba rompere un uovo per scoprire cosa c’è dentro, proiettandoti verso mille e uno ipotetici futuri possibili, ma quando diventi adulta la prospettiva cambia. E alla base di ogni godimento non c’è l’atto dirompente del distruggere, ma quello di farsi degli sbatty inenarrabili e costruire, faticando, qualcosa che all’interno serberà una sorpresa e un probabile godimento, forse. Ma forse no. Chi può saperlo? Ma intanto devi farlo, devi andare avanti e costruire – anziché distruggere e godere nel farlo grazie al cioccolato e il rivestimento al latte, – qualcosa che, come l’ovetto kinder, ha dalle forme tondeggianti e rassicuranti dai colori fluo. Parliamo del pollaio Eglu Cube di Omlet.
Come quel mio amico che ha visto “Dirty Dancing” dopo essere diventato padre di una bambine e, all’improvviso, si è riconosciuto nel padre di Baby e non più in quel figaccione di Patrick Swayze . A crescere, insomma, dobbiamo fare i conti con i ribaltamenti delle prospettive oltre che con il cagotto che ti colpisce se vai in giro con la pancia di fuori come Christina Aguilera negli anni Novanta.
Ma tornando al nostro pollaio Eglu Cube facile facile da montare e alle istruzioni in cui non c’è una singola parola, ma solo fumetti e disegnini a prova di scemo, che ti spiegano grazie alle X e alle V quali sono gli errori che potresti fare ed infatti ho fatto. No, una vite non è uguale all’altra e chissenefreag dai, tanto il senso è quello lì, no?
A proposito di viti, devo anche fare un breve appunto in merito al fatto che ho montato tutto il pollaio con un unico cacciavite della misura sbagliata e che, questo cacciavite sbagliato, ha fatto del male alle viti e alla mia pazienza. Sarebbe stato meraviglioso, davvero, se qualcuno inventasse un coso. Tipo un sex toys, ma che gira – oh, miodio mi è venuta in mente una scena di Testuo – da appoggiare su una vite da avvitare, e che si attiva nel momento in cui schiacci un pulsante che fa girare la vite intanto che tu stai ferma. Sarebbe davvero un’invenzione incredibile. Un’invenzione davvero rivolzuionaria nel momento in cui devi montare parecchie cose, nell’arco di una manciata di settimane e sistematicamente ti dimentichi se per avviatre devi girare in senso orario o anti-orario. Alla fine ho inventato questo barbatrucco. Se vuoi svitare qualcosa è come se, in un certo senso, tu volessi tornare sui tuoi passi come ogni volta in cui ordini una pizza e scopri che è bianca e non ha il pomodoro e quindi NON è una pizza ma una focaccia, a casa mia. E quindi vuoi tornare indietro nel tempo. Tac. Per svitare una vite, sfida il tempo! E vai in senso anti-orario.
Ci ho messo un paio di ore, da sola, a montare il pollaio. Nonostante nessuno abbia ancora inventato l’avvitatore o, se l’Esercito o Elon Musk lo hanno già fatto, non ritengono ancora opportuno concederci questa tecnologia a noialtri che dobbiamo montare cose a casetta nostra.
Il pollaio Eglu Clube costa parecchio ma può ospitare fino a 10 galline piccole, mica come quel dinosauro di Gallina Cambodia – che riposi in pace – che era grande come un panettone di cemento da urtare con la retro quando parcheggi in assenza di sensori per il parcheggio. Insomma, vai indietro fino a quando non senti “tac”.
Provvisto di una zona giorno e di una zona notte, è facile da lavare e in teoria dovrebbe evitare l’annidamento di acari e parassiti vari.
Ho una volpe tatuata su una clavicola perché, abitando nei boschi, mi capitava spesso di incontrarle.
Erano quegli incantevoli animali che dovevo evitare con una sterzata o salvare con una frenata. Bellissimi animali in grado di fondere il bello (e il selvatico) del cane e del gatto insieme.
La scorsa notte abbiamo sentito un gran trambusto fuori casa. Siamo corsi verso i conigli e le galline ed eccola.. meravigliosa e disperata, una volpe nel pollaio. Piume e sangue ovunque. Holiday dispersa e Cambodia salvata per un pelo. Ora mangia e beve – ha persino fatto l’uovo, nonostante i cagni della volpe e lo spavento – ma fa fatica a camminare.
Ci stiamo prendendo cura di lei e adesso mica riesco a vedere le volpi come prima. L’ho raccontato a mia madre e mi ha detto che chi è nato al sesto piano di un palazzo in un quartiere popolare non è abituato a vivere queste situazioni… ma cosa? La paura di perdere “cose” senza nessuno da incolpare per davvero. Il sangue, la puzza, la merda e l’amare ugualmente la vittima e il carnefice. Nature is a whore, diceva quello lì.
Alla ricerca di Porcini in Valceresio. Ne abbiamo trovati tre di cui uno piuttosto marcio che abbiamo lasciato lì. L’ultimo, il più bello, trovato proprio per caso quando ci siamo infilati in anfratto riservato per fare pipì. Ed eccolo… Non sono ancora pronta per “andare a funghi”. Credo sia fondamentale farci accompagnare da quelli che, da queste parti, chiamano fungiatt ma che si dice anche siano piuttosto territoriali e spericolati. Non è che abbiano tutta questa voglia di condividere il loro sapere, come chi reagisce con sdegno quando chiedi la ricetta di qualcosa di buono che hanno cucinato. Gesucribbio, ti ho chiesto una ricetta, mica di sacrificare una falange del tuo indice. Tanto poi cucinerei di merda e sbaglierei le dosi e farei di testa mia e verrebbe fuori qualcosa di radicalmente diverso dalla tua torta / pizza / risotto e, in ogni caso, menatela di meno.
Urge trovare un fungiatt anarchico desideroso di condividere il proprio sapere.
Vivere a stretto contatto con gli animali “da cortile” e recuperati da situazioni in cui la norma è crescerli per poi ucciderli per le loro carni, vuol dire vivere fianco a fianco con la merda, la malattia e la morte.
Animali fragili poiché non hanno mai dovuto trasmettere geni forti di generazione in generazione e, nel migliorare la propria specie, acquisire la capacità di sopravvivere a un banale raffreddore, per esempio.
A nessuno serve che questi animali siano resistenti e longevi. Neanche a loro stessi, dopotutto, serve far selezione naturale perché hanno difficilmente la sfortuna di invecchiare, come succede per cani e gatti per cui esiste un mercato della cura, invece.
Le galline devono fare le uova. Tante. Appena cala la loro produzione vengono uccise. Se si ammalano vengono uccise – imprecando – perché la carne non è più edibile e persino nella morte si sono rivelate inutili.
Il risultato è che non esiste una reale cultura del benessere di questi tirannosauri in miniatura, dallo sguardo vacuo, ma dalla forte personalità e dall’incredibile propensione alla distruzione. Beh, forse vorrei pure io attorno a me il caos e tiferei terrorismo, se fossi nata gallina ovaiola e non femmina dell’animale Uomo.
No, riformulo la frase. Partendo dal presupposto che persino io anelo al caos e alla distruzione, non oso immaginare quanta cieca furia possa esserci tra quelle zampacce unghiate di gallina ovaiola, per la vita di merda che fa.
Gallina Trinity è morta.
Mi sono svegliata una mattina ed era tutta arruffata nel suo nido da cui non voleva uscire. Dopo poche ore l’ho trovata morta con le zampe all’aria e il corpo rigido in una posa innaturale. Da un po’ di tempo non faceva più uova e ho passato le giornate a studiare le sue feci come fondi di tè, per capire se il suo corpo era abitato da pulci, vermi, acari o altri parassiti. Trovando pochissime informazioni in rete. Per non parlare dei forum di allevatori che credo abbiano una tastiera particolare con un tasto con su scritto “Facci il brodo”. Avrei dovuta portarla da uno dei pochi veterinari che ha a cuore la salute di questi palloni da football con le piume ma non ho fatto in tempo.
Ed io a Gallina Trinity le volevo bene, perché faceva il verso di un modem 56k, perché era tutta nera e si faceva tenere in braccio.
Oggi è la giornata mondiale del cane. Oggi è la giornata in cui celebro, in salute e in malattia e finché morte non ci separi, ogni ora che passiamo insieme a quel catorcio di cui sono matrigna.
Wendy, che da sola basta a restituire furia e fierezza alla parola “cagna” nei secoli passati e in quelli a venire.
Wendy che è davvero tanto vecchia e stanca.
Come io sono esausta di dover rispondere, ogni maledetto giorno, ad una domanda che non mi permetterei mai di fare neanche al più sprovveduto, cinico ed insensibile bipede legato ad un canide.
Eppure me la fanno, aprono la bocca per farmi quella domanda che suona però, come un consiglio non richiesto elargito intanto che giri il caffè con una paletta di plastica davanti ad un distributore automatico o con una birra in mano e una purea di arachidi tostate in bocca.
La Wendy è vecchia. È vero. Questo è un fatto inconfutabile. Ma la vecchiaia non è malattia. Non è uno strano morbo da cui si possa guarire e per il quale è necessaria una cura. La Wendy non è “rotta” e non può essere buttata o aggiustata. La vecchiaia non è una colpa per cui essere giustiziati. La sua vecchiaia è uno stato, un essere e un esistere – per quanto complesso – che non può essere considerato qualcosa da risolvere. Un impiccio di cui disfarsi. Un’anomalia da correggere.La Wendy, ora, è anche questo. Una cagna di sedici anni che cade troppo spesso, che ronfa tutto il giorno e che cerca ogni notte il proprio compagno di una vita – della sua vita – quando si sente confusa e smarrita.
E quindi evviva le cagne, evviva le cagne vecchie, evviva quella vecchiaccia della Wendy e tutto ciò che mi sta insegnando sulla miseria del genere umano che non merita di essere cantato in versi.